Archivio articoli e news

< I "sassarini" nella Grande Guerra, "emigrati" difensori della patria ma anche della lingua sarda. Parte seconda
05.08.2016 13:09 Età: 8 yrs
Categoria: Poesia, Storia e Archeologia, Questioni di Lingua Sarda
Autore: Paolo Pulina

I soldati della Brigata "Sassari" nella Grande Guerra, "emigrati" difensori della patria italiana, della lingua sarda e anche delle gare poetiche in limba

Concludo con il testo che segue il mio contributo di omaggio al valore militare ma anche al lascito culturale trasmesso a noi sardi dalla storica mitica Brigata "Sassari" a cento anni dalle sue epiche imprese nel corso della Prima guerra mondiale.


Gara poetica tra i più famosi improvvisatori del passato

Gara poetica tra i più famosi improvvisatori del passato

Famosi poeti improvvisatori

Famosi poeti improvvisatori

Concludo con il testo che segue il mio contributo di omaggio al valore militare ma anche al lascito culturale trasmesso a noi sardi dalla storica mitica Brigata "Sassari" a cento anni dalle sue epiche imprese nel corso della Prima guerra mondiale.

Le due puntate precedenti sono su questo sito ai link: I "sassarini" nella Grande Guerra, prima parte e I "sassarini" nella Grande Guerra, seconda parte, Giuseppina Fois scrive a pagina 44 del  citato suo libro sulla storia della   Brigata (mi riferisco alla prima edizione del 1981):  «Giuseppe Tommasi, in "Brigata Sassari: note di guerra" (Roma, Tipografia sociale, 1925), ribadisce due  temi proposti nell’"Emilio Lussu" di Camillo  Bellieni: la forza vincolante del riferimento alla Sardegna nelle file della “Sassari” e il coraggio individuale come valore-chiave della psicologia del combattente. Si veda, come esempio del primo tema, la descrizione della gara poetica in sardo tra i soldati, con gli improvvisatori, il vino, la giuria che dà i temi per le composizioni, la comune nostalgia per la Sardegna lontana.

Anche Leonardo Motzo descriverà qualche anno dopo la stessa scena, svoltasi nel giugno 1917 nel fondo della Val Piana: un momento altamente corale della vita collettiva della Brigata». (Si veda: Leonardo Motzo, "Gli intrepidi  Sardi della Brigata Sassari", pp. 130-131, terza  edizione 2007); ma si veda anche pagina 285, edizione 2003, di  "Fanterie sarde all’ombra del tricolore" di Alfredo Graziani).

Diamo la parola all'osservatore citato dalla Fois: «Ecco cosa si fa qui in Val Piana, una gola deserta che sbocca sui dirupi di Val Frenzela. Gli ufficiali hanno messo parte dei loro stipendi a disposizione di alcuni colleghi che hanno organizzato dei trattenimenti per la truppa, nelle ore libere del pomeriggio. Dico trattenimenti, ma in sostanza si tratta di gare poetiche … e di vino. Il sardo, solitamente grave e taciturno anche nei divertimenti, ama moltissimo il canto.

Una festa di Sardegna non si può chiamare una festa riuscita se non ha i cantori, e nell’isola ce n’è moltissimi. I cantori cantano a gara, in poesia rimata ordinariamente in ottave, su temi proposti lì per lì dal Comitato dei festeggiamenti. E tra una strofa e l'altra bisogna inumidire le gole, dando mano alle zucche colme di vino.

Così si fa in Val Piana. Gli Ufficiali si mettono al centro e attorno i cantori. E più al largo i soldati, tutte le compagnie e tutti i battaglioni, e persino gli altri reggimenti, attratti dalla novità. E cantano e cantano, i soldati, a gara, cercando ognuno per sé, per la sua regione, perché ci sono i conterranei che lo stimolano, e fanno la critica.

Il più quotato è Nieddu, un piccolo giovane dagli occhi vivacissimi e dalla voce buona. E gli ufficiali stessi, persino il cappellano, padre Michele Todde, da Tonara, dei francescani di Assisi, un cuor d’oro che dà ogni mese il suo stipendio ai soldati e ogni giorno in trincea fa la visita al reggimento, avendo perennemente a fior di labbro un sorriso o una facezia, versano da bere ai soldati.

Così per ore e ore, fin che le prime stelle del bel cielo quasi estivo non si accendano sulle cime dei monti ancora bianche e le tende grigie non chiamino al riposo e al silenzio questa meravigliosa e vergine forza di Sardegna». (Giuseppe Tommasi, "Brigata Sassari: note di guerra",  Roma, Tipografia sociale, 1925, pp.180-81).

Ha sottolineato  Salvatore Cambosu in "Miele amaro" (prima edizione Vallecchi 1954), a nome di un simbolico collettivo Michele Soldato:  «Ci ritrovammo [nella Brigata “Sassari”] in una grande famiglia che parlava la stessa lingua, che ballava lo stesso ballo, che cantava le stesse canzoni. Quando uno moriva, il suo nome ce lo passavamo di bocca in bocca, insieme col nome del suo villaggio, e quel villaggio era di tutti  noi. In seguito neppure questo ci consolava, perché cominciarono a morirne  tanti che, di quando in quando, tutta la Brigata era morta; e poi rinasceva e rimoriva, e così finché durò la guerra che sembrava non dovesse avere fine» (p. 150, ediz. Vallecchi, 1989, prima edizione 1954).

Sul valore in guerra della storica  mitica Brigata "Sassari"  ecco tre testimonianze d'autore.                Dice Ernest Hemingway a Fernanda Pivano, apprezzata traduttrice delle sue opere in italiano: "In italiano ho sempre te come un’àncora; come la vecchia Brigata Sassari della Prima Guerra che riesco a ricordare". Rammentiamo  che Hemingway nel suo famosissimo romanzo del 1929 "Addio alle armi" (ispirato alla sua esperienza di volontario nella sezione statunitense della Croce Rossa sul fronte italiano durante la Grande Guerra: fu ferito a Fossalta di Piave) non cita la Brigata "Sassari" ma la Brigata "Catanzaro".

La Brigata "Sassari" e' nominata con ammirazione da Riccardo Bacchelli nel romanzo "La città degli amanti " (1929) per l'inquadramento esemplarmente dignitoso che essa riesce  a rispettare pur in mezzo allo sbandamento generale, durante la ritirata di Caporetto: "Egli camminava accodato, dietro al reggimento, che era uno dei due della Brigata Sassari, gloriosa nei fasti della guerra. Camminava dietro i sardi di modesta statura, robusti e di poche parole, severi".

Infine, qui di seguito, quanto ha scritto più recentemente ("la Repubblica" del 27 agosto 2013) il giornalista-scrittore Paolo Rumiz: "Erano nervosi i generali italiani sul Ponte della Priula il 7 novembre del '17. Sulla riva sinistra del Piave c'erano ancora decine di migliaia di uomini allo sbando, ma quell'ostia di ponte bisognava farlo saltare in fretta. C'era il rischio che gli austriaci passassero, e se passavano Venezia era persa. Il fiume era in piena, l'esplosivo già posizionato e gli artificieri in attesa. Ma giunse trafelato un sottufficiale della brigata Sassari che urlò 'aspettate!' perché Dio bono stava arrivando il suo battaglione, inquadrato nel 152º reggimento. Arrivava  la Sassari, regina delle fanterie. Bisognava attendere, ma passava il tempo e non si vedeva nessuno. Un'ora, un'ora e mezza: nulla. E proprio quando i genieri ebbero l'ordine di accendere le micce, ecco uno squillo di tromba e un polverone a distanza. I sardi arrivavano ed erano - da non crederci - in fila per quattro, passo cadenzato, sottogola giù e fucile a bilancia, e davanti un piccoletto tipo Emilio Lussu, il capitano Giuseppe Musinu. 'Attenti a dest' gridò davanti ai generali, e il battaglione passando rese gli onori".

Paolo Pulina