August Sander. Sardinien
Sardinien. A. Sander
Ludwig Mathar - La Sardegna, un'isola sconosciuta
la Sardegna, un'isola sconosciuta
Testo dattiloscritto di LUDWIG MATHAR conservato nell'August Sander Archiv
Come un vero e proprio continente si erge in mezzo alle correnti azzurre del Mar Tirreno, con le sue coste frastagliate e tormentate dalle tempeste che si estendono per non meno di 1553 km, con pianure e altopiani vastissimi, maestose montagne che si innalzano fino a 1829 m nel Massiccio del Gennargentu, e lunghi fiumi, tra cui il maggiore è il Tirso, sbarrato magistralmente presso Abbasanta, con i suoi 150 km di lunghezza.
Questa grande isola raggiunge i 271 km nel punto di maggiore lunghezza, mentre in larghezza misura 145 km, per una superficie complessiva di 23.822 krn-l Grandi isole la circondano (S. Antioco 108 krn-) come satelliti fedeli. Con la linea ferroviaria principale la si percorre da Terranova, a settentrione, fino alla capitale Cagliari, a meridione, percorrendo 306 km in un viaggio che dura otto ore.
È una terra davvero imponente, affascinante e malinconica, enigmatica nella sua storia, arricchita da una tradizione artistica peculiare e da un popolo fiero e profondamente consapevole delle proprie origini. La Sardegna di cui parlo è l'erede dell'antica Tirrenia, di quella terra di fortezze preistoriche, intrisa di cultura mediterranea, colonizzata dai Romani, ricca di ponti e strade, terra di persecuzioni cristiane, dominata dai Vandali e invasa dai Saraceni, terra di Pisani, Aragonesi, Spagnoli, Piemontesi; una terra che nutre il germe di un'Italia futura unita e risorta.
La Corsica, quest'isola rocciosa ancora più selvaggia, luogo di nascita di Napoleone, separata dalla Sardegna soltanto dalle Bocche di Bonifacio, è oggi in gran voga, mentre la Sardegna, ben più variegata, ben più particolare per via del suo paesaggio, della sua popolazione e della sua arte, resta "un'isola sconosciuta" perfino per molti italiani.
Meriterebbe invece una visita da parte di chiunque visiti l'Italia, e che decida di raggiungere con una traversata notturna da Civitavecchia su un traghetto statale pulito ed elegante, la costa - inizialmente monotona ma poi sempre più piacevole - della seconda isola più grande del Mediterraneo. A Terranova si sale sul treno rapido per raggiungere la capitale, Cagliari.
Malinconico è il paesaggio collinare. Come scogli si ergono blocchi di granito tra le file di cactus. Sempre più in alto si arrampica ansimante il nostro treno. Quale imponente fortezza dalle pietre tenebrose completamente ricoperta di edera ci si spinge in contro? (Tavola 84). È un Nuraghe, imponente fortezza preistorica, costruita senza malta con grossi blocchi inseriti a cono sul terreno digradante, quasi a sfidare l'eternità.
Si entra per una porta bassa; dentro vi è un'alcova sormontata da anelli di pietra posti uno sul l'altro. Dalle tremila alle quattromila fortezze, spesso ordinate in due, tre file, vegliavano una volta sugli altopiani, sugli ingressi delle valli, sui passaggi dei fiumi e sulle coste dell'antica Ichnusa, proteggendola da invasori provenienti dal mare.
Ci troviamo di fronte alla cultura mediterranea che conosciamo dalle isole del Mar Egeo, da Creta o Maiorca, con la sua arte del bronzo legata alle antiche miniere di rame con il quale si facevano armi e statuette raffiguranti sacerdoti, capi tribù ed enigmatiche divinità. Ancora oggi, nell'epoca delle ferrovie, delle dighe e delle automobili, la presenza misteriosa di tali vestigia preistoriche ci si impone. Intanto il treno prosegue la sua corsa. Facciamo una puntata sulla costa settentrionale, a Porto Torres. Da questo porto prima punico e poi romano salpavano verso Ostia le antiche navi che portavano il grano prodotto nella fertile terra chiamata Sardegna.
Sì, proprio qui, in questa città portuale pulita e laboriosa, nella vecchia "Turris", da dove una strada romana portava fino a "Calaris". l'odierna Cagliari, vi sono innumerevoli tracce di un passato romano ricco e importante. Ecco il ponte romanocon i suoi molti archi (Tavola 4), che attraversa un fiume ormai impaludato, accanto a un ponte moderno. Più in là il tempio della dea Fortuna, una basilica, ci mostra le sue rovine. Entriamo nell'interno oscuro di un acquedotto romano scattando foto col lampeggiatore.
Merita uno scatto anche un mosaico romano con una moltitudine di pesci colorati. Salendo la magnifica scalinata, mentre ci dirigiamo verso la basilica paleocristiana di S. Gavino, la più splendida di tutta la Sardegna, scorgiamo la colonna antica sulla quale è collocata la statua del santo patrono della città.
Circumnavighiamo l'isola dell'Asinara, luogo di esilio e di quarantena per i prigionieri della Grande Guerra, passando per grotte magiche e nascoste, costeggiando sperdute cittadine portuali sulle rocce, dalle quali partono le navi con il loro carico di sughero, e poi lagune scintillanti al sole e verdi isolotti rocciosi.
Ma anche all'interno del paese, nelle vicinanze della via ferrata, vi sono monumenti straordinari, splendide testimonianze artistiche medievali risalenti all'epoca della dominazione pisana che suddivise in quattro piccoli stati sovrani la Sardegna soggiogata. Al centro di una valle di rocce calcaree s'incontra la chiesa di Santissima Trinità di Saccargia (Tavola 117), l'antica abbazia benedettina con l'alto campanile romanico, il portale tripartito e la facciata riccamente ornata: sublime espressione della più alta arte romanica dell'epoca e del popolo che ci ha lasciato il duomo di Pisa.
Oppure ancora ci si presentano, sobrie e lineari - quasi un richiamo a una chiesetta pisana - sulla collina di Santa Giusta (Tavola 69), tre navate e una torre campanaria del XI secolo, circondate da prati fioriti, basse capanne e i canneti fruscianti di una laguna marina. Ai piedi della collina si erge, fiera, una palma.
Saliamo i 24 gradini e scopriamo, all'interno, le rovine dell'antica città di Tharros, dalla quale è nata, sull'omonimo golfo, l'odierna Oristano, sede arcivescovile. Scorgiamo anche colonne e capitelli romani, eppure è tutto Medioevo, semplice e severo.
Presto raggiungiamo la vasta fertile piana del Campidano. Castelli arroccati si profilano minacciosi: è questo il Medioevo feudale e tintinnante d'armi dei Pisani e dei loro successori aragonesi. Visitiamo, allontanandoci, la regione di Iglesias, antico centro minerario, che forniva piombo e argento prima ai Cartaginesi, poi ai Romani con i loro schiavi e prigionieri cristiani; in seguito fu sfruttato dai Pisani, che vi fondarono la città di Iglesias, la "Città delle chiese".
Nel 1913 si ottennero piombo e zinco, rame e ferro, manganese e antimonio, antracite e lignite, un totale di 214.966 tonnellate da 94 miniere per un valore complessivo di 26 milioni di lire, grazie al duro lavoro di 14.794 minatori.
Sopra questo paesaggio minerario si erge, su un cono di trachite alto 253 m, il castello di Acguafredda, costruito dai Pisani (Tavola 55). Qui regnavano, crudeli e vendicativi, i figli di Ugolino, della superba stirpe dei Della Gherardesca, ai quali Pisa aveva dato in feudo la regione di Cagliari.
Di questa "vendetta dei Della Gherardesca" (si veda il mio omonimo romanzo ["Rache der Gherardesca"] pubblicato da Verlag Benziger & Co. Einsiedeln e Colonia) cantano ancora i pastori, nella loro bella lingua sarda tanto simile al latino, nell'ampia pianura ai piedi della ripida montagna sulla quale salgono solamente le pecore. Con fatica siamo saliti fino al nido d'aquile distrutto dai Pisani: che vista magnifica! Attaversando estese lagune arriviamo presto al capoluogo, Cagliari.
Un porto internazionale con un grande molo dove attraccano navi da tutto il mondo. Tra le vie spaziose, nella città bassa~ponente Palazzo Civico nelle cui sale troviamo le tele di soggetto storico di Filippo Figari, l'artista sardo più importante e più fedele al suo paese. In alto, sul promontorio roccioso, si presenta la città pisana. La Torre dell'Elefante(Tavola 23), arrogante emblema della dominazione pisana, svetta imperiosa e arcigna su tutta la città, più alta perfino della cattedrale.
La cattedrale stessa, originariamente costruita nel XIII secolo in stile romanico-toscano dai Pisani, è stata purtroppo rinnovata in stile barocco nel Seicento. All'interno resta però l'antico pulpito del duomo di Pisa successivamente trasferito a Cagliari. Il pulpito poggiava un tempo sui due magnifici leoni romanici che oggi fiancheggiano la scalinata del coro barocco (Tavola 28).
La cosa più bella della Sardegna è il suo popolo.
Splendidi sono i suoi costumi dai colori vivaci: semplici quelli de gli uomini, con gambali neri, giacca, copricapo piatto e pantaloni e camicia in lino bianco. Vistosi quelli delle donne, con gonna colorata, grembiule festivo di seta, ornato d'oro il corpetto e le maniche, di un bianco candido la camicetta pieghettata e la cuffia inamidata.
È così che si presenta il popolo di Atzara la Domenica delle Palme davanti al portale della sua chiesa (Tavola 103): massicci gli uomini, serie le donne, uniti nell'umiltà e nella fede.
Antichissimo è lo spirito di questo popolo.
Il contadino ara ancora come ai tempi di Omero, con un ramo d'albero dalla forma uncinata. La ruota del suo carro non è che un disco privo di raggi e l'asinello cammina con il muso fasciato sul terreno di pietra per mettere in moto l'antica macina casalinga. (Tavola 80).
Che tutto possa restare così a dispetto di treni e automobili, dighe e turbine!