L’uomo con la macchina da presa – 1929 Documentario di Dziga Vertov

L’uomo con la macchina da presa – (1929)

Dziga Vertov - L’uomo con la macchina da presa – (1929)
L'uomo con la macchina da presa (Chelovek s kino-apparatom) è un film del 1929, diretto dal regista sovietico Dziga Vertov.

Il film è forse il compimento massimo (e finale) del movimento kinoglaz (cineocchio), nato negli anni venti per iniziativa di Vertov e propugnatore della superiorità del documentario sul cinema di finzione che, in sostanza, deve essere bandito perché inadatto a formare una società comunista.

Vertov raccoglie l'esperienza di anni di documentari propagandistici, le sue radici futuriste, le sue teorie secondo le quali il cinema deve essere uno strumento a servizio del popolo e della sua formazione comunista, e sublima il tutto in un'opera tecnicamente all'avanguardia e che ancora oggi colpisce per originalità e vivacità.

Trama

La giornata, dall'alba al tramonto, di un cineoperatore che riprende per lo più scene di vita quotidiana per le strade di Odessa, e che ci mostra anche la sua arditezza alla ricerca di inquadrature a sensazione, sopra, sotto o a fianco di treni in corsa. Il film si apre con il totale di una sala cinematografica che da vuota si riempie in un attimo. La stessa sala si rivedrà in chiusura del film dopo una sequenza nella quale la macchina da presa ha cominciato a muoversi da sola sul treppiedi, senza operatore, e prima di vedere la facciata del Teatro Bolshoi frantumarsi grazie ad un effetto ottico.

Significato

« Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento! »
(Dziga Vertov)

Vertov credeva che le storie di finzione fossero solo fumo che il potere borghese gettava negli occhi del popolo. La sua opera cinematografica è perciò tutta tesa a raggiungere uno scopo sociale, attraverso la documentazione della sola realtà, anche laddove l'occhio umano non può arrivare. Solo la verità interessa l'occhio della cinepresa e solo guardando e mostrando cose reali si può costruire una società migliore. Il suo purismo trova riscontri in altri ambiti della cultura sovietica del tempo, ma nell'ambito cinematografico, in piena espansione, i contrasti sono grandi anche all'interno di un Paese dominato da un'ideologia così forte e unificante.

Così dopo alcuni anni improntati al rigore e a diffondere le tesi del movimento kinoglaz, Vertov si trova nella necessità di dare una risposta più forte alle critiche che, ora, gli giungono anche dagli apparati di partito, preoccupati che troppa sete di verità si scontri con le esigenze della propaganda.

L'uomo con la macchina da presa va oltre i documentari girati per strada, fuori dalle fabbriche, nei villaggi, ecc. Stavolta insieme alle scene di vita quotidiana è lo stesso operatore ad essere ripreso. Lui è l'oggetto stesso dell'indagine dell'occhio scrutatore, nell'atto di spostarsi, sistemare i suoi attrezzi o semplicemente filmare.

È un primo caso di cinema nel cinema che, al di là dell'iniziale intento ideologico (il cineoperatore lavoratore alla pari dell'operaio), innesca un meccanismo di meta-cinema che coinvolge in un piacevole gioco tanto lo spettatore quanto il regista che, perso il "purismo" iniziale, acquista però una grande forza espressiva.
L'uomo con la macchina da presa e... sopra la macchina da presa (una scena del film)

Vertov, esibendo abilità ed estro con riprese innovative e giochi di montaggio esasperati quasi fosse un saggio di tecniche d'avanguardia, si serve della sua padronanza del mezzo tecnico per dare impulso alla sua idea di cinema, sino a questo film improntata alla ricerca della verità cronachistica, e ora lanciata verso la scrittura di un nuovo linguaggio espressivo.

La verità dell'occhio che guarda diventa essa stessa una verità da osservare, innescando riflessioni nello spettatore cui forse non è più possibile dare risposte certe.

Forse sta anche in questo il motivo per cui questo film segnerà l'apice della carriera di Vertov, incapace in seguito, pur dando vita a documentari di grande valore, di ritrovare quella vena dirompente, sagace e moderna che caratterizza L'uomo con la macchina da presa.

Dopo un parziale oblìo, oggi quest'opera è riconosciuta come un caposaldo della cinematografia mondiale. E questo lo si deve alle capacità tecniche artistiche di Vertov e di suo fratello, Mikhail Kaufman, operatore nonché protagonista del film, ma soprattutto all'originalità del soggetto.
Aspetti tecnico-stilistici

Il film è privo di didascalie, andando così contro le più semplici e consolidate convenzioni del cinema muto.
Dal punto di vista tecnico è un'esibizione di tutto ciò che l'inventiva e lo slancio sperimentale dell'epoca potessero esprimere. Doppie esposizioni, salti di scena, carrellate, riprese oblique, primissimi piani, split screen, fast motion, slow motion, freeze frames e tanto altro ancora, corredato oltretutto anche dal documento delle spericolatezze effettuate dallo stesso operatore per la realizzazione di riprese bizzarre ed originali. Insomma, l'avanguardia espressa e documentata al tempo stesso.
Curiosità

Il film, ovviamente, in quanto muto non aveva colonna sonora, né Vertov indicò mai quali musiche lo avrebbero potuto accompagnare nelle proiezioni. Dagli anni trenta ad oggi vi sono state apposte svariate musiche tra le quali ricordiamo quelle composte da Pierre Henry, dalla Alloy Orchestra, da Michael Nyman nel 2001, dalla The Cinematic Orchestra nel 2003, ed un'ultima sonorizzazione del 2012 curata interamente dalla band italiana Sikitikis su richiesta del Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Fonte: wikipedia.org