Qualche mese dopo la pubblicazione della video-lettera, nel maggio del 2007, Giorgio Baratta raccolse un’altra importante confessione di Eric J. Hobsbawm e la intitolò “Grazie ai ‘Quaderni del carcere’ di Gramsci sono uno storico”: è stata pubblicata in www.millepiani.net/archivesfilosofici
«Credo che, in Gran Bretagna, siamo stati tra i primi ad accorgerci di Gramsci, principalmente a causa dei molti soldati britannici che tornarono in patria dopo aver combattuto la guerra in Italia, ove avevano sentito parlare di lui. Credo sia stato proprio tramite alcuni di loro che anch’io sentii parlare di Gramsci per la prima volta: da uomini come il poeta Hamish Henderson, ottimo scrittore, gran bevitore, scozzese, che fu tra i primi a tradurre le “Lettere dal carcere”, e da diverse altre persone, che mi sollecitarono a prendere personalmente contatto con i suoi testi. Uno di essi fu il primo a realizzare un’antologia dei testi di Gramsci in Inghilterra, negli anni Cinquanta, “The Modern Prince”, forse la prima raccolta pubblicata fuori dall’Italia.
Quando venni in Italia per la prima volta, credo nel 1951 o 1952, attraverso i contatti con alcuni amici italiani ebbi la possibilità di conoscere direttamente gli scritti di Gramsci presso l’Istituto Gramsci. Naturalmente Piero Sraffa, mio collega al Trinity College, mi aveva parlato di lui ma, come tutti sanno, Piero Sraffa parlava pochissimo di quanto stretti fossero stati i suoi rapporti con Gramsci, e fu soltanto in seguito che io ne venni a conoscenza.
Rimasi colpito quasi immediatamente non tanto dall’approccio politico di Gramsci, che peraltro all’epoca era molto originale per un marxista, ma soprattutto dal suo approccio alla storia delle classi subalterne, alla storia delle classi popolari. Sotto certi riguardi i miei primi scritti storici erano paralleli a quelli di Gramsci in questa direzione.
Ad esempio, l’introduzione al lavoro che poi generò il mio primo libro sui ribelli primitivi (del 1959; tradotto in italiano da Einaudi nel 1966 col titolo “I ribelli: forme primitive di rivolta sociale”) vide la luce proprio grazie al fatto che avevo sentito parlare di Davide Lazzaretti. Allora non conoscevo, perché non l’avevo ancora letto, il passo di Gramsci nei “Quaderni” in cui egli parla di che cosa ci sia “ai margini della storia”, iniziando precisamente dalla scoperta di Lazzaretti, quale esempio della storia speciale straordinaria delle classi subalterne.
L’incontro con il testo di Gramsci mi stimolò al punto che non mi limitai ad affrontare l’argomento, ma progettai e realizzai un intero libro sull’orientamento di scrivere la storia “dal basso”, la storia “dei subalterni”.
Il mio rapporto personale con Gramsci è stato, in un certo senso, fondativo: Gramsci è una delle maggiori fonti di ispirazione del mio lavoro di storico.
Allo stesso tempo egli rappresenta anche una essenziale fonte di ispirazione delle mie idee sulla politica, perché Gramsci è stato uno dei pochissimi, forse l’unico tra i marxisti e i comunisti, a scoprire che l’oggetto della politica non è soltanto la questione di come prendere il potere e mantenerlo, ma che c’è invece molto altro oltre a questo.
In effetti la forma governo da parte di una classe non è caratterizzata unicamente, come credono in molti, da un’imposizione dall’alto, ma consiste in un rapporto dialettico molto complesso tra chi governa e chi è governato, un rapporto che non può essere spiegato solamente in termini di potere».
a cura di Paolo Pulina