Sentieri dell'Iglesiente | Racconto inedito

Rapporto moltiplicante

Rapporto moltiplicante

Il primo giorno

La sensazione che può dare l'argilla spalmata sul viso è a dir poco sublime, questa penetra ogni poro della tua pelle, e poco a poco secca ogni millimetro dell'epidermide.
Dapprima la sensazione è di una frescura assoluta poi poco alla volta diventa uno stato quasi fastidioso; e non vedi l'ora che tu possa lavartela dal viso.

Ricercare in queste tenebre la soddisfazione diventa quasi un problema di relazione sadomasochistica, perché è tanta la voglia di sollevarsi da questa situazione, quanta quella di volerci rimanere.

Ma la pelle oramai sta per essere tirata al massimo della sua tensione; certo che da bambino potersi impiastricciare a questo modo sarebbe stato un gran divertimento, soprattutto nel tornare a casa stupendo la propria madre.

 Non ci fu molto tempo per capire che il viaggio, nei particolari logistici, era ormai stato organizzato, il traghetto era stato prenotato, la bicicletta era partita per tempo, rimanevano solamente i bagagli da fare, ohimè decidendo cosa si era disposti a lasciare, e per ultimo prendere il treno per La Spezia e partire, lasciando dietro a sé ogni problema o ricordo.

 La bianca nave che ci portava verso il "Dito Corso" era ormai partita. Era bello lasciarsi baciare dal sole e accarezzare dal vento. Se chiudevi gli occhi potevi immaginare al tuo fianco una graziosa fanciulla

Questo tratto di viaggio mi era già noto, per questo motivo decisi di iniziarlo da qui.
Sapevo già che quando saremmo approdati a Bastia sarei potuto andare a dormire in quel solito campeggio in riva al mare.

Poi il giorno dopo avrei potuto iniziare la mia fuga verso l'altro capo della Corsica.
La scena che stavo vivendo seduto al tavolo della pizzeria del campeggio, da un lato rapiva la mia curiosità, dall'altra mi procurava un certo timore. Nel tavolo di fronte erano seduti due ragazzi intorno alla trentina, e dal loro fare sembrava che si divertissero alquanto.

Iloro modi rispecchiavano ampiamente quel genere di persona che io reputo senza sentimento, quel genere che prima o poi ti chiederanno qualcosa, proprio nel momento che meno te lo aspetti, ti chiederanno una sigaretta, o se no di anticipargli la spesa della consumazione, che naturalmente il giorno dopo ti restituirà tutto, anche se è chiaro che non ci sarà un prossimo incontro.

Il loro non sentimento, sta’ proprio nel non riconoscere questo fatto in se stessi, proprio per meglio poter derubare l'altro del suo sentimento, e potersene poi fuggire senza correre.

E loro lo sanno che non potranno fermarsi a nessuna stazione, perché ogni fermata sarebbe subito bruciata dalla propria incapacità di vivere, è impossibile riuscire a incontrare il loro sguardo, perché se ciò capitasse leggeresti nei loro occhi tutta la disperazione che li accompagna.

La ragazza che era con loro, li stava per raggiungere al tavolo, ma in modo molto esplicito le fanno capire che non era molto gradita la sua presenza, mentre la sera prima, nell’afosa intimità della tenda di uno dei due, le cose probabilmente stavano in modo alquanto diverso.

Ma quella era un'altra sera probabilmente della sua presenza si sarebbero pregiati più tardi, lei imperterrita faceva finta di non capire, quindi passando dal bar ritorna qualche minuto dopo con la sua bevanda, che posa sul loro tavolo, prontamente uno dei due, turbato da quest’incomprensione del messaggio precedente, le prende il bicchiere di mano e ne versa il contenuto nel vaso di ortensie.

Lei a quel punto sconcertata dalla cosa, ma direi anche abituata a queste pubbliche scenate, si guarda intorno ricercando un possibile alleato, e in una prima fase è convinta di trovarlo nel barista, la cui unica complicità sta’ nel versarle un'altra bevanda nel bicchiere vuoto.

Fiera di questa sua conquista, passeggia nel dehors, cercando tra i pochi ospiti, credo che fossi l'unico oltre i due e il barista, la possibile compagnia per la serata. Mi chiede in un probabile tedesco se può unirsi al mio tavolo, le rispondo in modo alquanto distaccato, ma in modo affermativo. Dopo circa cinque minuti d’inutile francese scopriamo che è inutile continuare questa triste relazione.Probabilmente non fosse accaduto ciò che i miei occhi avevano visto, sarei stato molto più disponibile a scambiare con lei quattro chiacchiere, anche in quell'inutile francese....
Ma credo che ciò non sarebbe mai accaduto.

Il vuoto della mia tenda si riempì quasi d'incanto di torbidi fantasmi, la pizza mangiata tre ore prima non fece altro che accentuare la mia sete.
Nelle tende intorno a me si poteva amoreggiare senza timore di essere scorsi, ma la paura per il giorno dopo era enorme, e qui con me non c'era  nessuno per potersi dimostrare coraggioso.

Li eravamo io e lei da soli, il resto che ci stava intorno poteva solo servirci.
Dalla riva del mare m'illudevo di poter scorgere le luci della costa toscana, invece solo i pochi bagliori delle barche alla pesca, continuavo a passeggiare e ad ascoltare il mare.

Le urla della ragazza continuavano a rompere il mio silenzio, ma alla fine si sarebbe quietata.
Il sonno mi riportò alla tenda.

Il secondo giorno
L'indomani la sveglia mi rese felice, l'alba in quel luogo proveniva dal continente italico, mi portava un sorriso a me familiare.
Potevo pensare a quelle ridenti e faticose colline toscane che mi avevano visto più volte coinvolto ad avvolgermi in loro.

Quando iniziai il mio cammino il sole aveva ormai contato le dieci, e speravo tanto che sarebbe stato clemente. In un’ora di cammino contavo già i miei bei venti chilometri, che per il carico che mi portavo appresso era una distanza ragguardevole, ma a poco a poco notavo che la mia media scemava. Poco a poco che sudavo, le mie energie sembravano quasi rigenerarsi, non tanto in potenza, ma soprattutto in voglia di continuare a sudare.

Quel tratto di strada mi era amico, sulla mia destra senza dover deviare troppo vedo dei bimbi giocare presso un casolare, col mio francese sempre più sicuro chiedo loro, di offrirmi dell'acqua, sembrano molto contenti della mia richiesta e mi portano da bere, non ho molto da dire loro nemmeno nulla da raccontare.

In altra occasione mi sarei fermato più a lungo con loro e sicuramente avrei escogitato un sistema per sedurre la loro attenzione.
Il paesaggio che stavo attraversando non mi suscitava alcun’emozione, tutto era troppo piatto.

Quando il sole era ormai tramontato, mi trovavo nella baracca del bureau del campeggio a contare i pochi franchi che avevo a disposizione. Un bagno in mare rinfrancò la stanchezza del mio corpo.

Guardavo seduto davanti alla mia tenda nella speranza di un furtivo sorriso, quasi di fronte a me era accampata la famiglia di Roberto, era molto bella anche loro erano in bicicletta, il loro vino anche se non buono fu importante, passammo tutta la serata a progettare un futuro incontro.Il terzo giorno Il mattino dopo li salutai, chissà se ci rivedremo ancora.

Quel tratto di costa, per quel che mi ricordavo, mi avrebbe riservato una lieve salita.
Il mattino era splendido, finalmente dalla costa incominciavano ad inerpicarsi gli scogli.

Nei piccoli momenti di discesa la leggera brezza che ti accarezzava il viso, portava con se quel meraviglioso profumo di salmastro Di lì in avanti iniziava il mio vero viaggio. Quello che fino adesso era successo io già lo conoscevo, quello che di lì in avanti potrà accadere sarà da me ben accetto.

Questo ormai terzo giorno di viaggio mi procurava una certa tristezza, chissà cosa ne era dei miei soliti amici, come sarebbe stato bello adesso essere li vicino a loro a farsi coccolare e a bere vino bianco. In certi momenti il mio pensiero volava via lontano, forse avrei voluto non essere li, ma la scommessa era oramai in corso, e per vincerla avrei dovuto soltanto pedalare.

Il sudore in certi istanti mi accecava, lo percepivo quasi acido riusciva a bruciarmi il viso, però era come una sensazione piacevole e liberatoria, qualche volta le sue gocce riuscivo a catturarle con la mia lingua, come a volersi dissetare di se stessi. Probabilmente la condizione era questa, per giorni e giorni avrei dovuto contare solo su me stesso, soltanto la mia intuizione mi avrebbe accompagnato nel mio viaggio.

La bianca scogliera guardava lo stretto passaggio marino, la sua imponenza suggeriva un certo timore, chissà mai se il biondo e barbaro vichingo di fronte a tale possente meraviglia si sia mai trovato? Poche ore prima ero sulla cima di quella falesia, a riflettere su come avrei continuato il mio viaggio, ma da lassù sembrava più importante volgere il proprio sguardo al presente piuttosto che al futuro, anche se immediato.

Tutto intorno a me era mare, avevamo oramai perso la visione della bianca scogliera, e non ancora si poteva scorgere il nuovo territorio, solo delle piccolissime isole facevano da contorno a questa visione.Il quarto giorno La giornata si prometteva al meglio delle sue possibilità, il sole era ormai alto, una leggera brezza permetteva di poter assaporare meglio la sua regale maestosità.

Nel paese cercavo nello sguardo degli indigeni periodici, una possibile complicità, senza rendermi conto che ciò non sarebbe mai stato possibile, perché i nostri sguardi non si sarebbero mai incontrati, tra noi c'era la stessa differenza che c'è tra chi è ormai giunto al monte e chi è ancora a valle.

L’energia che scaturisce da questi opposti mi permette di riflettere su se stessi. La forza del mare ma soprattutto del vento hanno scavato le rocce di questo luogo, puoi immaginare tutte le diverse figure che la fantasia ti propone.
Laggiù l'indiano, più in là l'elefante, qua sotto nella baia i delfini si concedono a giochi infantili.

Il profumo degli arbusti, ormai seccati dal sole, t'inebriano di una deliziosa mistura che va dalla liquirizia al timo, all’origano ma è solo possibile coglierne il ricordo. Una stretta lingua di sabbia, su cui il continentale ha costruito una strada d’asfalto, unisce il capo all'isola.

I villeggianti cominciano a brulicare per le spiagge, ma loro non si meravigliano più di tutto ciò, preferiscono il gusto della birra a quella del salmastro. Inutili musiche scandiscono il ritmo della giornata, e a sera ormai ebbri spariscono a casa per andarsi a lavare di tutta questa inutile sensazione. Oggi il mio amico Giovanni parlerebbe di sintopia, io allora ero invece preso da questi fantasmi, quegli accaduti agivano in me quei luoghi della mia emozione che quasi paralizzavano il mio pensiero e la mia azione.

Al bar del campeggio una bella ragazzetta sedeva al tavolo di fronte, quel pomeriggio era più annoiata del solito quindi si concedeva un po’ di meritato riposo, due chiacchiere ci uniscono nel vortice del nostro sogno diverso, anche lei un giorno di qualche anno fa ha amato quella musica di Mahler, eravamo protagonisti-spettatori di un grande amore, lo stesso.

Il pensiero di quell'incontro ci accompagnò ancora per qualche ora, ma a sera oramai c’eravamo dimenticati di quell'amore perduto, quando c’incontravamo facevamo fatica a riconoscersi.L'appuntamento con i miei amici tedeschi era per la cena, io avrei donato loro un po’ della delizia della cucina italiana " la carbonara ", non ricordo in quale lingua discorremmo, ma per loro ero ormai vecchio e stanco, potevo al massimo rappresentare un professore di scuola, di un materia poco importante e pure noiosa.

La notte la passai agitando la speranza che anche ad un professore si possa concedere una notte d'amore.

Il quinto giorno
"Era mattina presto mi chiamano alla finestra, mi dicono Francesco ti vogliono ammazzare...".

Era mattino presto e tra me canticchiavo questa canzone, che nulla aveva in comune a quel momento, se non l'ora mattutina, si forse la morte accompagnava quel mio pedalare, ma non una morte vera, non ci credevo, ma bensì di un'altra natura quella che non si tocca perché impalpabile, quella che da sempre accompagna l'uomo che non ha paura di essa.

Morte come luogo che produce, ed è prodotta dalla trasformazione. Ma io non sapevo ancora cosa di me sarebbe morto, e cosa sarebbe rinato, ma come bloccare un processo che oramai andava iniziando, come intravedere tutto questo nel mio semplice pedalare.

Siddharta presso i Samana tre cose gli furono d'insegnamento, digiunare, pensare, attendere.
A me cosa ha insegnato la mia vita? Il fresco mattino deliziava il mio cammino, dalla strada maestra la mia curiosità si infilava in quelle stradine più nascoste, che non mi erano permesse.

La costa occidentale guardava le nacchere a me lontane, chissà cosa ne sarà di quella collina a strapiombo sull'oceano che a suo tempo fu a me cara.
Ma non c'era tempo per i ricordi, il sole ormai alle undici impegnava a dismisura la salita.

La fonte era avvolta da alberi che raccontavano la vita che vi fu intorno ad essa, la frescura che quel luogo procurava era enorme, quasi irreale, mi rifocillai indisturbato per parecchie ore.Camminavo per le strade di quell'anonimo paese quando scorsi la bottega di un fabbro, la sua cordialità superava di gran lunga la durezza del suo mestiere, mi presento tutto il suo museo, gesta antiche si mostravano ai miei occhi, il segreto alchemico della trasformazione era li al mio cospetto, li tutto non era più l'origine, il martello quando picchiava sul metallo arroventato accarezzava con grande maestria le forme che sarebbero risultate dalla sua azione creatrice.

Mi congedai meravigliato della sua comprensione, anch'io in fondo stavo compiendo un miracolo simile al suo, ma nessuno di noi era in grado di comprenderlo, a chi mi avesse chiesto come mai stessi pedalando in quel modo, avrei risposto in mille maniere, ed ogni volta in modo diverso, ma pochi me lo chiesero, e molti se lo domandarono.

Continuai per la mia strada, degli uomini raccoglievano sughero scortecciandolo dalle piante, alla fine della discesa mi ritrovai con una gomma a terra, mi fermai nei pressi di una fattoria, ai pilastri del cancello era appeso a mo’ di trofeo delle corna di toro, fui subito fatto entrare, poche domande e molta povera cortesia, ripresi subito il cammino.

La passeggiata di quel paese mi procurò una bella voglia di gelato, ma più che gustare il mio cono, assaporai quell'andirivieni di belle ragazze in cerca di marito, il giardino si affacciava a terrazzo sul tramonto dietro la Valle della Luna.

La luna, bella compagna, luna cara, luna amorosa, luna odiosa, luna assassina, luna caprina, luna vicina ai miei sogni, luna lontana ai miei amori, luna sapiente, luna ponente, luna che non puoi niente. Luna della mia vita.
Anche per quella notte potei riposare.

Il sesto giorno
Il mio viaggio proseguiva verso sud-est, il primo luogo abitato che incontrai mi offrì una fontanella a cui potei lavarmi sufficientemente, al bar mi servirono un bel caffè, consultai per l'ennesima volta le cartine, e poi via verso il mio cammino.

Quando ti trovi alla sommità del tuo percorso tutto diventa più bello, da lì tu puoi cercare di scorgere quale sarà il tuo percorso futuro, e per quanto sinuoso esso sia tutto procederà per il meglio, tanto non dovrai faticare, una discesa ti accompagnerà.
Basterà soltanto saper tenere la strada.

Ma ohimè lo sguardo, e il tuo ricordo portano a vedere che oltre, che dopo, di fronte a te, un monte invalicabile sarà la tua prossima meta da raggiungere, e per quanto tu possa sforzarti di sperare che un'altra via possibile , meno faticosa, possa esistere, egli diventerà sempre più vicino e terrorizzante.

Quale vita d'altronde non porta con se questa reale illusione.
Li in cima tu potrai sicuramente gioire, ma anche riflettere, ma allora perché non scendere giù a capofitto per la discesa? e vivere l’ebbrezza del tuo cammino? Dopo qualche ora di faticosa salita, trovai ospitalità presso un posto di guardia della forestale.

Mi invitarono alla loro tavolata, e penso che quella fosse la loro unica occupazione, nella speranza che qualche incendio procurasse loro un po’ di gioia, e allora si sarebbe scatenato un inferno, via di corsa con i loro mezzi a sirene spiegate giù per la discesa, a tentare un contraffuoco che sicuramente salverà ettari di bosco.

Ma invece nulla di tutto questo, i loro ventre erano gonfi di birra locale e cocomero, e con un po’ di diffidenza offrirono anche a me un po’ della loro illusione, ma la mia sete di conoscenza superava ogni possibile muro, con loro avrei anche parlato di prostitute, ma non me ne diedero l'occasione, continuarono a offrirmi la loro ospitalità, e io ne fui ben felice.
Meglio la loro birra e cocomero che la disperazione urbana.

Forse solo il comandante mi salutò quando inforcai la bicicletta, probabilmente il fuoco da spegnere gli era stato molto vicino, più di quanto potesse vedere con il suo cannocchiale, e chissà che ancora non gli bruci dentro.

Il sole aveva smesso di brillare con la sua massima imponenza, una piccola deviazione al paesino la su in cima alla collina mi poteva essere molto utile, avrei potuto fare qualche provvista d'acqua e di cibo.

La via principale pullulava di anziani che parlavano tra loro e ti scrutavano da sotto il berretto.
I bambini correvano a piedi scalzi vicino alla cisterna, immergevano la loro corsa nelle pozzanghere, formando degli schizzi sempre più alti e più lontani.

Camminando per le vie strette incontrai un'osteria di quelle casalinghe, mi feci portare un caffè e una bella caraffa d'acqua, la signora si scuso' per non potermi offrire un caffè' espresso, accettai le sue scuse bevendo quello della cuccuma, poi andai via.

La vallata al tramonto mi offriva uno spettacolo meraviglioso, ero veramente solo, la via sinuosa donava un’ebbrezza particolare al mio cammino, la sensazione era quella di ritrovarsi come in alta montagna, dove gli alberi incominciano a sfoltirsi, e il territorio diventa quasi brullo e austero.

Cercai un posto nel quale potessi passare la notte, e assaporarne i suoi silenziosi rumori, giù verso il fiume ormai secco trovai il mio giaciglio.
La luna era ormai già alta, ma il mio sonno tardava ad arrivare, il mio pensiero era rivolto... non so a cosa, forse a tutto il pensabile soggettivo, fatto di utili fantasmi, che tutto questo fosse inutile per un sociale immaginario, non vi erano dubbi, ma come d'altronde potersi implicare, in un reale se non attraverso questa azione carica di simboli.

Già quello che stavo compiendo mi permetteva di essere più vicino a me stesso senza dovermi mediare continuamente, nulla mi era richiesto, solo a questa terra, alle mie gambe e al Dio onnipotente potevo e dovevo rendere conto.


Essere cosi vicini a se stessi mi pareva quasi impossibile, non vi erano pensieri di desiderio, io ero il compimento del desiderio, in quel momento ero li e non in un altro luogo.
Cosa potevano valere oramai i miei dolori di fronte a tutto questo.
Non c'era vendetta, mi trovavo di fronte ad un'altra via quella del coraggio di esistere a prescindere da...
Quella notte riuscii soltanto a riposare, il sonno non mi era vicino almeno non tanto quanto lo fossero le zanzare.

Il settimo giorno

Queste strade bianche al mattino assumono un colore particolare, sembrano fatte per essere solcate senza dover portare ad una meta precisa, ma solo accompagnare il viandante per la sua strada.

Arrivati alla marina, cominciai ad assaporare quella atmosfera che accompagna ogni luogo di villeggiatura marino, che nulla ha da spartire con il "mare". Anche io con una sensazione di vergogna assaporai l'atto della balneazione.

Quel delfino, portato a costa dal motoscafo, non fece i conti con quell'elica bastarda che portava i villeggianti a scoprire l’ebbrezza della nautica. Al ritorno dalla loro grande impresa di piccolo cabotaggio, potranno raccontare di aver visto anche loro da vicino un grande pesce, ma loro non hanno fatto in tempo a distinguerlo per poterne precisare la specie.
Io ebbi il tempo di poter accarezzare il suo delizioso muso ancora ridente.

Ripresi il mio viaggio, mi ritrovai in un antico borgo, in quel luogo risiedeva una vita che ripercorreva l’originalità' del topos.
Una vecchia rideva del mio interesse alla sua gioventù oramai perduta, si faceva bella di fronte alla mia voglia di fotografare. Tutto intorno a me era cinto da mura che delimitavano l'attenzione al luogo, un grosso arco con un giusto cancello permetteva al forestiero di non entrare liberamente, e agli indigeni di non uscire senza alcuna sensazione.

Quasi come se si dovesse rendere conto ad altra autorità' della propria libertà'. Di li chi usciva non sarebbe più' ritornato.
Alle volte il rinchiudersi per timore di non essere violati nella propria domus, corrisponde pariteticamente al non voler fare uscire null'altro da essa. Dove non si può' entrare corrisponde al non poter uscire.

Oramai potevo vedere i tanto desiderati monti del Supramonte, il loro fascino e imponenza, erano supremi.
Non era il mio primo incontro con la montagna, le mie gambe avevano già' assaporato la fatica per raggiungerla. Ma questi erano particolari, si facevano vivi i ricordi della canzone.Il primo vero guasto alla bicicletta, accade proprio al fianco di un luogo di ristoro che mi permise finalmente di assaporare quei gusti di quella cucina sarda, anche il vino bianco inebriò il mio ricordo di un mondo ormai distante.

Con qualche convitato scambiammo alcune parole sui ricordi comuni.
Mi parlarono di rapimenti, quasi fosse per loro un dovere, in virtù' del fatto che fossimo oramai ai confini della Barbagia.
Ascoltai le loro leggende rapito allo stesso modo dei loro protagonisti.

L’ottavo giorno
Al mattino alle mie spalle il sole albeggiava filtrando attraverso una leggera foschia, il controluce produceva una sensazione di amorevole conforto per la riuscita del nuovo giorno.

Credo che sia per questo che non mi ritrovai mai a pregare, il contatto con l’io supremo e' costante in queste occasioni, e' l'essenza dell’onnipotente, onnipresente che non e' figura o volto, ma è essenza respirabile. Poco alla volta il mio originale bagaglio si faceva sempre più' leggero, le mie sacche sembravano fare sempre più' spazio al nuovo eternamente vecchio.

Il cammino fino al luogo dei pastori, fu parecchio faticoso.
Lassù' in cima non trovai alcuno conforto ma solo diffidenza, e interessata indifferenza.

Le case tutte intorno lungo i muri erano istoriate di splendidi murales, inneggianti la storia e la malinconia.
I giovani passavano il loro tempo a correre su e giù' per la via maestra a tutta velocità', mi ricordavano quei cani che legati alla catena, continuano a correre avanti e indietro nei loro limiti. I lupi se messi nella gabbia fanno la stessa cosa.

Un vecchio vestito dalla barba ai piedi, di quel maestoso velluto, con tanto di panciotto sotto quel caldo torrido, mi svelo' attraverso le sue poche parole, l'essenza del topos. La strada mi porto in un luogo mai visto, i castagni in fiore mi erano sconosciuti.
In cima lasciai la strada, e imbracciai la mia cara compagna, e ci accompagnammo lungo uno scosceso viottolo ombreggiato.

Li incontrai l’ebbrezza del vino offerto da un'allegra compagnia, quando ci lasciammo barcollavo, ma non abbastanza da non poter incontrare quel sole che per tutto il giorno mi fu amico.

Riposai la mia stanchezza appoggiato ad un albero che guardava la vallata.
Da li molti pastori accompagnando le loro greggi, poterono vedere il loro desiderio di partire. A me rimaneva il desiderio di poter lasciare un messaggio al prossimo che si sarebbe seduto al posto che oramai sentivo mio.
Giunse la notte a portare quel conforto tanto desiderato.

I sogni si susseguirono senza riposo, mi sentivo accerchiato da quella notte, ma non riuscirono a cogliermi indifeso, la mia posizione li sulla cima mi permetteva di potermi inoltrare in quella radura che diventava foresta, sui tronchi erano appesi delle teste di tori con tanto di corna simmetriche.

Sopra questa cima che diventava giù da basso vedevo un casolare, dove una piccola bergera stava facendo su dell’acqua nel suo secchio.Volevo cogliere il suo sguardo, ma mi era ormai impossibile, come nella storia di cenerentola ad una certa ora tutto sarebbe svanito, e sarebbe ritornato ciò che prima era.

Il nono giorno Volsi lo sguardo verso est, il mattino mi svegliava e scorgeva la ruota della mia bicicletta.
M’incamminai per quella ripida discesa, attraversando l’aria fresca e giovane, dai rapidi tornanti attraverso la radura potevano cogliersi i tetti delle case di Desulo.

Le strade che andavo via via incontrando, non erano molto frequentate, di tanto in tanto incrociavo qualche auto educata, che salutava il mio passaggio, ma non ero nel nella direzione di condividere con loro questa mia ebbrezza, loro non erano simbolico, io immaginario ( loro erano io, io giacevo nel pensiero, che per sua natura non è condivisibile ).

Mi fermai, non per piacere ma solo per dovuto incedere del reale.

La bicicletta infila la sua sella e il suo manubrio su di un telaio che viene sostenuto da due ruote, la prima non per importanza è detta anteriore, ed è libera al moto cinetico che subisce, e di tanto in tanto viene indirizzata lungo un percorso a lei non sempre naturale, mentre la seconda detta posteriore sostiene, oltre il peso del praticante, distribuisce, il motolungo il percorso, il suo modo di essere è rigido e poco flessibile, ma è sua natura, perché altresì è denominata libera, ma non in senso universale ma solo in relazione al momento che diventa possibile solo per un verso, quello verso la ruota anteriore, forse sarebbe più giusto chiamarla obbligata.

Su questa sono montate una serie di ingranaggi che sono detti corone, disposti in modo allineato e concentrico dal più grande al più piccolo, differenziandosi oltre che per misura, per numero di denti.

Comodo al praticante, per la sua estensione degli arti inferiori, vi è un sistema di leve contrapposte denominate pedivelle, le quali trasmettono il moto praticato a delle ruote dentate, tendenzialmente più grosse delle precedenti, ma solo per risultato finale voluto.

Verrà da chiedersi a questo punto se il risultato sia frutto di un miracolo o cos’altro, ebbene il tutto è tenuto insieme dalla trasmissione, si una catena detta di trasmissione permette il miracolo di poter agire qualsiasi cosa.

Ogni praticante, ma non solo, deve agire attraverso la trasmissione, qualsiasi essa sia, è la condizione sine qua no.
I freni sono necessari solo quando viene a mancare la necessaria trasmissione.

Riuscii in qualche modo a ripartire..., dopo il guasto probabile conseguenza di quello accadutomi qualche giorno fa..., la catena mi aveva abbandonato. Il primo paese che potei raggiungere non mi permise grossi risultati per poter proseguire il mio viaggio, mi aiutò una corriera con la quale raggiungemmo Isili.
Li aiutai il ciclista a riparare la bicicletta.

Quel sorriso di passaggio che incontrai sulla giovinetta, rinfrancò la mia giornata, lasciandomi la speranza di poterla rincontrare.
Trovai ospitalità per la notte sotto uno scomodo frutteto.Il decimo giorno Il sole in quei luoghi era già alto al mattino presto, ad una fontana potei rinfrancare il mio corpo di quel sudiciume, inevitabile.

Il temperato abitante che incontrai mi sottolineo il fatto che non volessi condividere con nessuna questa mia felicità, feci finta di stupirmi, ma nel suo modo aveva ragione.
Un pastore con il suo gregge interruppe il mio svogliato cammino, mi fermai a fraternizzare con un gattino, facemmo presto amicizia, provammo a partire insieme, ma i fantasmi assalirono i miei pensieri.
Ci lasciammo cosi senza alcuna promessa.

La mia vista mi porto verso una protuberanza che usciva dalla piana, e aveva la forma di una singolare mammella, Las Plassas.
Quel giorno percorsi il mio cammino in modo affannato, come se la pianura non mi portasse altro che delusione, forse ora capisco il vero significato di piattume, da non confondersi con pattume.

Ma tutto ciò non era ancora completamente alle mie spalle, era come se a me fosse legato un’invisibile filo elastico che di tanto in tanto per quanto potesse allungarsi, riportava sempre dietro ciò che era il bagaglio non desiderato.

Il mio cammino mi portò verso un’altura soleggiata, li potei incontrare la testimonianza di un passato runico, che amanti di quel luogo scoprirono dopo lunghe e faticose ricerche scavando sotto il livello odierno in cui il territorio si presenta.

La ricerca storica ci permette di riviverci in luoghi, di cui non sappiamo l’esistenza, ma un’intuizione che va sul piano della conoscenza ci permette la sensazione di poter affermarela nostra esistenza attraverso i nostri padri, questa trasmissione è basilare nell’esistenza dell’individuo.
Noi siamo ciò che altri prima di noi hanno vissuto, non tenerne conto alle volte ci porta molto lontani, cosi lontani da non capire perché si è dovuti partire.

Tante persone vediamo che si vivono intorno, senza comprendere il perché delle cose, e cercano di raggiungere il loro desiderio, supponendo di poterlo incontrare in quel dato oggetto, ma l’oggetto non è il desiderio, è solo un mezzo di ulteriore confusione.

La strada che mi portava verso il lato ovest di quell’arido territorio, cominciava a salire in modo pronunciato, è ciò oramai non mi stupiva più, anzi quella salita in fondo mi procurava un certo piacere, quasi di sfida, non più con me stesso, ma con il territorio.
Durante la salita mi venivano alla mente cose banali, ad esempio il ricordo di quella casa incontrata la quale era tutta tappezzata di gusci di conchiglie, vongole, cozze, arselle, fasolari.

Tutte leccornie per chi ne ha piacere.
Alle volte quando compero questi frutti mi serbo sempre una minima quantità da assaporare cruda, incredulo alle possibili infezioni.
La gente per sua natura crede che il male stia nel sintomo, di cui è terrorizzata, ma non riconosce quello che può infettare la mente senza che ce ne accorgiamo.

Dei ragazzi in motocicletta che ho raccolto durante il passaggio presso un paesino, mi accompagnano fino al bivio che ci dividerà per sempre, non fanno domande, mi raccontano che loro passeranno la notte sulla spiaggia. Io di li vedo solo alture, ma so che hanno ragione.

Le corna del manubrio sono diventate la mia unica presa con la realtà, mi muovo ancheggiando sempre di più, è quasi una posa che mi aiuta a superare l’ostacolo della salita. Ma vedo già non lontana la china del colle, che sarà il mio giaciglio per la notte. Una cascina chiassosa non mi da quella quiete che avrei voluto per me, ma io li sono straniero non posso arrogare diritti, d’altronde non lo vorrei neanche, più in la c’è molto spazio e forse più silenzio.

L’undicesimo giorno
Il mio caffè era pronto potevo gustare quello splendido mattino.La discesa era molto ripida, e poi non conoscevo quelle strade, quindi i miei tremori non erano dovuti solo al freddo che il lasciarmi scivolare giù nella ripida mi procurava.

Non credevo nella capacità del mio mezzo, quindi di tanto in tanto dovevo rallentare la mia corsa, era bello quando potevi tagliare le curve in contromano, anche perché in certi momenti potevi scorgere chi saliva.

Quando raggiunsi la marina il paesaggio non si presentava con quello splendore solito di questi luoghi, il paese doveva essere stato un terminale di raccolta delle escavazioni minerarie, verso il largo si poteva scorgere un attracco marinaro.
Il paese però offriva dei buoni dolciumi, che rinfrancarono il mio spirito deluso.
Rimasi lì per qualche ora a fare compagnia agli abitanti.

Quella strada bianca che potevo vedere da sotto era impraticabile a cavallo della mia bicicletta, raggiunsi l’accordo, avrei spinto lei e i miei bagagli per quei corti tornanti. La fatica e l’amenità del percorso però mi consolarono con la scoperta di un luogo di estrema bellezza, “Cala domestica”.
Una piccola strada che continuava sulla sabbia portava ad un luogo immenso splendore.

M’immersi in quel freddo mare, come a lavare i miei peccati.
Ma non era peccato tutto ciò.

Alle volte dopo un piacere, succede che ci si debba punire, quasi come se quello non si fosse meritato. Allora si possono notare degli atti preparativi a questa punizione, piccole disattenzioni, sbadataggini, forme di onnipotenza. Le parole molte volte portano con loro un equivoco, o forse il nominare è un desiderio, e quando diventa scritto sulle carte topografiche, si possono prendere degli abbagli.

Acquaresi mi fu fatale, continuavo a vagolare su quelle strade bianche e polverose, nella speranza di raggiungere un miraggio. Quei luoghi erano oramai abbandonati da molto tempo. Il tempo era fermo a quel giorno come l’orologio della stazione di Bologna.

Il borgo che pensavo di incontrare per fare provvista d’acqua era un cumulo di detriti e baracche lasciate al sole. I minatori che ci avevano abitato forse non videro mai quel luogo di giorno, non poterono assaporare il sapore di quel sole. Oggi racconto che mi salvarono degli stradini che mi offrirono un po' della loro acqua, che per me nonostante la sete era troppa.
Non feci molte promesse li ringraziai sommessamente, quasi a chiedergli scusa per non essermi organizzato per quella spedizione.

La voglia di uscire da quel sogno, non mi permetteva di capire che nonostante la discesa avrei dovuto continuare a piedi la mia strada.
Raggiunsi il mare, di fronte a me un topos, “Pan di zucchero”, ma questa volta le parole non trovarono il significante, riposai per molte ore al fresco degli alberi.

Alle volte rimaniamo stupiti dai dè-ja-vù, che possiamo sempre inserire nella sfera del sentimento, degli affetti che emergono, e si raffigurano in ritorni attualizzati, evocando scene come già vissute.
Ma alle volte capitano i “pre-de-ja-vu” che si portano con se un certo entusiasmo, come se riconoscessimo, e ci complimentassimo di non aver perduto quella sensibilità che poco alla volta scompare, perché sempre proiettati a riempici di quegli oggetti inutili, pseudo ricordini, o surrogati del desiderio.

Presso un albergo chiesi informazioni sulla strada che mi rimaneva da compiere, mi rispose una voce conosciuta, in un corpo che disconoscevo. Alla fontana riempii le mie riserve d’acqua, memore della disavventura appena trascorsa.

Mi sentii chiamare da quella stessa voce, incredulo ne riconobbi il viso, era Paolo.
Mi feci coccolare per tutta la sera, mi senti viandante in casa di sconosciuti, dissi loro che il prezzo che avrei dovuto pagare, era un bagno in una vasca. scoprii in seguito che la voce che aveva presagito l’incontro era un suo cugino.

Ma non avevo tempo per stare ancora con loro, il mattino dopo partii, quella era l’ultima tappa.Il dodicesimo giorno La strada continuava per qualche chilometro nel dissesto con cui l’avevo trovata, qui i camion carichi di pietre sottratte alla montagna, avevano circolato per molti anni. Lo scoglio di “ Pan di zucchero ” lo si poteva ancora ammirare.

Da lontano del fumo denso oscurava il cielo, ancora una volta ettari di macchia venivano sottratti alla natura. Mi avvicinavo, con timore, sempre più a quella nuvola grigiastra, degli strani rumori sul mio cambio, preoccupavano il mio incedere verso l’arrivo. Non avevo più molta voglia di mettere alla prova l’esperienza per quel viaggio, era come se avessi voglia di ritornare.

Una strada parallela che correva lungo il percorso che stavo realizzando, mi solleticava il desiderio di percorrerla, ma credo che se fossi stato su quella, la domanda sarebbe stata identica.
La domanda, si la domanda è il solito problema, saper domandare, permettere di domandare, saper accogliere la domanda.
Come ieri anche oggi la domanda è portante, alle volte non ti accorgi di essa o non vuoi accorgerti di essa.

Io quando posi la mia domanda non ero certo che quella sarebbe stata la mia esperienza, mi paravo dietro l’insicurezza, al di là dell’accoglimento di essa. Perché alla domanda non vi è risposta, ma o la si accoglie oppure no, alla domanda non si risponde.
Mi feci accompagnare per quegli ultimi chilometri dalla musica di Francesco De Gregori.

Intorno a me tutto era bruciato dal sole, cominciavo ad intravedere la città di Cagliari, un autista di una linea di trasporto urbana, si compiaceva del mio abbigliamento, necessario a proteggersi dal sole, fatto di un copricapo ricavato da un canovaccio da cucina, che era la mia tovaglia da pranzo, e dei miei occhiali da ghiacciaio, che ricordo di averli acquistati per poter mediare le mie esigenze di montagna, e le mie velleità motociclistiche.

Ricordo che quando decisi di acquistare la mia moto, una “Lambretta 150” ero molto fiero della scelta, perché con lei, avrei potuto percorrere anche l’autostrada, a dire il vero non lo feci, oggi è rimasto quel luogo affettivo di cui non riesco a privarmi del possesso, non soperché, comunque riesco ancora a trattenerla sotto una tettoia protetta dalle intemperie, il desiderio è quello di poterla rimettere in moto e riuscire a fare un giro con lei.

Mi accorgevo di entrare nella città perché il traffico aumentava, e le strade si complicavano, era difficile riuscire ad entrare in quella logica che dopo giorni e giorni di cammino, avevo dimenticato. Riuscii a raggiungere il porto, per avere informazioni per imbarcarmi verso il continente.

La bimba che era nella sala d’attesa avrà avuto meno di due anni, giocava con la sala d’aspetto cercando qualche complice, mi trovò disposto al suo scopo, giocammo per qualche minuto, lei mi dimostrò la sua simpatia, io il mio stupore di poter essere amato dopo settimane di solitudine.
Era il primo rapporto che ebbi ad avere con la società, passai molto tempo a fotografare la sua felice seduzione.

Quando ci lasciammo ero già verso “Quartu Sant’Elena”, prima di raggiungere il campeggio attraversai un lungo tratto di stazioni balneari, mi piaceva trascorrere i nomi, da “Miramare” a “Carabinieri”, pensai al mio amico Oreste che so che avrebbe approvato questa mia impresa.

Il campeggio che ospito quella mia ultima notte, era molto accogliente, ma non per me che lo sentivo costrittivo, non per altro, ma perché le notti passate fino ad ora erano libere nello spirito, niente tenda, niente sacco a pelo, “ ...e per tetto un cielo di stelle...” diceva il titolo di non so cosa.
Il primo impatto con quella realtà fu molto eloquente, ma necessario.

Avrei potuto continuare a fuggire? La mattina seguente era plumbea, e l’atmosfera intorno a me era ovattata, penso che ebbi più difficoltà, ad affrontare quei pochi chilometri che mi distanziavano dalla città, che per tutti quelli che avevo sino ad allora percorso.

Dopo poche ore mi ritrovai turista in un luogo che non avevo scelto di visitare, mi feci accompagnare per le vie, alla ricerca di qualche sentimento, fu bello inseguire furtivamente il passeggio di una ragazza. Mi ritrovai di fronte alla Cattedrale, non ricordo quali ricchezze contenesse, ma la mia attenzione fu rapita per qualche tempo, prima di uscire e continuare la mia inutile permanenza.

Arrivò il tempo della partenza, m’imbarcai su quel traghetto che mi riportava al reale immaginato. Il viaggio portava con se il ricordo di un’avventura ormai trascorsa, credo che piansi di fronte all’ultima terra verso l’orizzonte. Quel mio amico straniero che condivise con me la traversata mi permise di discorrere, nel mio francese, sulla Logos e sulla Metis, e mi pare che ne fu convinto.

La notte passata sul ponte della nave era molto umida, ma più consona al mio traversare.

Il quattordicesimo giorno
Il mattino era splendido già potevo vedere la costa campana, oramai eravamo già nel porto, il mio amico si fece illudere dalle mie parole, voleva seguirmi fino alla mia prossima tappa, non glie lo permisi, lo abbandonai su quel treno che lo portava verso il suo “viaggio” da solo così come era partito.
Certe cose, certe esperienze non possono essere condivise, vanno solo attraversate, sta a te cogliere l’essenza.

Quel caotico mercato partenopeo mi vedeva impaurito ma fiero dell’esistenza, vagai per molte ore in cerca di ricordi materni oramai affievoliti dal tempo.
Una napoletana saziò la mia fame prima di prendere la corriera che mi portava verso il mio paese natio, dormii a lungo, quando mi svegliai ero già arrivato, mi feci abbracciare da quelle braccia paterne che mai più mi abbracciarono.

Quando ritornai verso la mia casa viaggiai insieme ad una ragazza quasi mia coetanea, che saliva verso il nord per accompagnarsi a delle sue amiche per andare in vacanza, avrebbero trascorso il loro periodo in Sardegna, non parlai a lei della mia storia, dei miei amori, arrivati a casa ci salutammo con un arrivederci che mai si sarebbe realizzato.

Attraverso i finestrini, scorsi i miei amici ad aspettarmi al marciapiede della stazione, fui immediatamente felice.
Un turbinio d’impegni mi permisero di non pensare troppo a quel mio amore trascorso.
Senza dimenticarmi quanto fu importante.

di "esserevento"